Dal joypad alla poltrona.
Da Fallout a The Last of Us fino a Until Dawn: il cinema sta imparando a giocare dopo una prima fase in cui... 'nsomma...
Ciao! Voi videogiocate? Io su questo sono un boomer, sono cresciuto con il Commodore 64 e il 286 e ancora oggi quando riesco qualche retrogame me lo rigioco volentieri. Ho passato attaccato al joystick (adesso si chiama joypad) tutta l’infanzia e anche se continuano ad affascinarmi, un po’ non riesco a trovare il tempo per giocare, un po’ mi sembra che i giochi di adesso siano molto più… complicati, e non solo, in effetti ho l’impressione che il focus si stia spostando dall’aspetto puramente ludico (vado e massacro i cattivi - i miei giochi preferiti) a narrazioni sempre più elaborate, che si avvicinano al cinema. Nello stesso tempo il cinema ha sempre corteggiato i videogiochi, producendo lavori che dai primi tentennanti film è arrivato a film e serie di tutto rispetto.

Until Dawn, il film tratto dall'omonimo videogioco cult di Supermassive Games, è uscito nei cinema il 24 aprile e, un po’ a sorpresa, è un buon film.
Per chi non lo conoscesse, Until Dawn è un survival horror interattivo che ha segnato una generazione di gamer con la sua atmosfera da teen slasher anni '90, le scelte morali che cambiavano il corso della storia e un gusto pulp irresistibile.
Il film riesce a tradurre molto bene quelle atmosfere: teso, molto divertente, pieno di svolte imprevedibili e mostri ben realizzati, e con un cast giovane ma credibile. Certo, perde la componente interattiva che rendeva il gioco così unico, e lo sostituisce con il loop temporale. Idea semplice ma decisamente riuscita.
(Parlo di Until Dawn in questo video)
Guardando Until Dawn, mi sono reso conto di quanto cinema e videogiochi stiano ormai contaminandosi a livelli mai visti prima.
Ma facciamo un passo indietro.
Le prime trasposizioni fallimentari
Se oggi possiamo parlare di un'epoca d'oro per le trasposizioni videoludiche, non dobbiamo dimenticare che non è sempre stato così. Anzi: per anni, ogni tentativo di portare un videogioco sul grande schermo sembrava destinato al disastro.
Chi può dimenticare il primo Super Mario Bros. del 1993? Bob Hoskins e John Leguizamo catapultati in un mondo distopico che non aveva praticamente nulla a che vedere con i livelli colorati e allegri di Nintendo. Stesso destino per Street Fighter (1994), con Jean-Claude Van Damme che combatteva battaglie improbabili e Raul Julia che, pur malato e alla sua ultima interpretazione, riuscì a rubare la scena con la sua interpretazione surreale di M. Bison.
E che dire del primo Mortal Kombat (1995)? Nonostante l'affetto nostalgico che alcuni fan gli tributano ancora oggi, il film era un mix di effetti speciali dozzinali, dialoghi improbabili e coreografie di lotta che oggi sembrano più parodie che omaggi.
Il fatto che questi film siano diventati dei cult, non cambia il fatto che siano sostanzialmente… brutti. Gli vogliamo bene, ma questo non cambia la sostanza.
All'epoca, Hollywood trattava i videogiochi come prodotti di serie B, da adattare velocemente per sfruttare un fenomeno senza comprenderne l'anima. Gli aneddoti dai set sono esilaranti: Bob Hoskins ha raccontato che lui e Leguizamo giravano molte scene da ubriachi per sopportare il caos della produzione!
Steven E. de Souza, regista di Street Fighter - Sfida finale, dichiarò in un'intervista del 1994, che Van Damme, dedito agli eccessi della droga, era così fuori controllo che nemmeno il fatto che fosse stata assunta una persona che doveva tenerlo a bada riuscì a risolvere i problemi.
Era, credo, il segno di una distanza culturale: chi faceva cinema non capiva chi giocava, e viceversa.
Oggi siamo in un'epoca totalmente diversa.
Adattare un videogioco significa rispettare i fan, conoscere la lore, mantenere intatto il tono emotivo.
The Last of Us (incominciata la seconda stagione, su Sky/Now) non è solo fedele nel racconto, ma riesce ad amplificare le emozioni del gioco grazie a interpretazioni intense e a una regia sapiente.
Fallout di Prime Video è una lettera d'amore al mondo creato da Bethesda: grottesco, violento, satirico. Ogni dettaglio, dalle armature Brotherhood of Steel ai pip-boy, è pensato per chi ha passato centinaia di ore nei deserti radioattivi.
Silent Hill - di cui aspettiamo quest’anno il nuovo capitolo - diretto da Christophe Gans, rispetta in pieno e fa respirare allo spettatore la cupa e misteriosa atmosfera del videogioco.
Anche successi animati come Arcane (da League of Legends) su Netflix, hanno dimostrato che un adattamento può addirittura superare il materiale originale in profondità e ricchezza emotiva.
Il futuro? Sempre più ibrido
Il futuro sarà sempre più sfumato.

Black Mirror: Bandersnatch (a proposito, parlo della nuova stagione di Black Mirror proprio sotto) di Netflix ha già sperimentato scelte multiple in stile videogioco. Altre produzioni stanno integrando VR, Realtà Aumentata, esperienze narrative interattive.
Il cinema prenderà sempre più spunti dai videogiochi:
Mondi aperti esplorabili.
Storie modulari.
Visioni multiple della stessa realtà.
I videogiochi, d'altra parte, useranno sempre più tecniche cinematografiche: storytelling sempre più sofisticato, regia d'autore, attori come personaggi (mica vi sarete persi Luca Marinelli nel trailer del videogioco Death Stranding 2: On the Beach di Hideo Kojima)?
La divisione tra "giocare" e "guardare" sarà sempre più sottile.
E poi c'è l'AI.
Già oggi sistemi come OpenAI, Nvidia e Unreal Engine stanno permettendo di generare NPC (personaggi non giocanti) con comportamenti autonomi e imprevedibili. Storie dinamiche che cambiano ogni volta. Dialoghi generativi capaci di adattarsi alle scelte del giocatore/spettatore.
Immaginate un film dove la trama si adatta in tempo reale alle emozioni che provate. O un videogioco che vi racconta una storia unica, cucita sulle vostre scelte più intime.
L’AI genererà paesaggi, personaggi secondari, missioni secondarie, linee di dialogo, perfino sceneggiature intere... - sotto la supervisione di autori umani che avranno il compito di "allenare" la creatività della macchina.
Già li sento i detrattori: omologazione narrativa, perdita del tocco umano, crisi dei creativi tradizionali.
… scusate, mi ero appennicato un attimo…
Ok, scherzi a parte, il potenziale è enorme: più storie, più accessibilità, più possibilità di vivere esperienze su misura.
Il futuro del cinema e del videogioco? Forse è già qui, solo che non l'abbiamo ancora giocato. O guardato. O vissuto.
📺 Ultime visioni
🎥 È tornato Black Mirror con la sua settima stagione su Netflix. E come ogni volta, la domanda è: siamo ancora capaci di immaginare un futuro più inquietante del nostro presente? La serie creata da Charlie Brooker ha segnato un’epoca, raccontando incubi tecnologici quando ancora l'AI sembrava un’idea da romanzi di fantascienza. Oggi, però, il mondo corre a una velocità tale che spesso Black Mirror sembra quasi inseguire la realtà anziché anticiparla. Molte delle idee che sembravano provocatorie pochi anni fa, adesso fanno parte della cronaca quotidiana. E allora cosa resta a Black Mirror? Secondo me, non tanto la capacità di predire il futuro, quanto quella di farci riflettere su come reagiamo noi agli strumenti che inventiamo. Non è la tecnologia il vero mostro, siamo sempre noi. Le nostre paure, ossessioni, debolezze. La settima stagione, pur tra alti e bassi (come sempre), ci ricorda che il vero "black mirror" non è uno schermo. È il nostro volto riflesso dentro. Tolto di mezzo questo grande scoglio quello che rimane sono (belle) storie.
📺 Gente comune è una storia che può sembrare scontata, ma mi ha messo un’angoscia rara. Un episodio che critica il sistema sanitario privatizzato e l'idea di "abbonamenti alla vita", mostrando come la tecnologia possa trasformare l'esistenza in una transazione commerciale.
📺 Bestia nera è, per me, il peggiore: butta nel mucchio computer quantici e multiversi, ma è solo una scusa per un divertimento poco incisivo. Esplora il concetto dell'effetto Mandela e la manipolazione della realtà, con un finale divertente quando assurdo. Si dimentica in fretta.
📺 Hotel Reverie mi ha commosso. Parla di cinema, è una storia d’amore realmente struggente. La star di Hollywood Brandy Friday accetta di reinterpretare un classico film romantico immergendo la propria coscienza nella storia grazie a una tecnologia basata sull’intelligenza artificiale. Mentre esplora questo mondo virtuale, i confini tra realtà e finzione iniziano a sfumare, portandola a mettere in discussione la sua identità e le sue emozioni.
📺 Come un giocattolo parla di videogiochi. Anche qui la tecnologia (abbastanza fantasiosa) viene usata per raccontare la storia di Cameron Walker, ex critico di videogiochi, che racconta la sua ossessione per un gioco degli anni '90 chiamato Thronglets, creato da Colin Ritman. Il gioco, simile a un Tamagotchi, si rivela essere una forma di vita digitale, portando Walker a dedicare la sua vita alla loro evoluzione.
📺 Eulogy è (per me) l’episodio migliore. Phillip viene contattato dalla compagnia Eulogy per contribuire al memoriale della sua ex fidanzata Carol. Attraverso fotografie e ricordi dentro cui immergersi, emerge il ritratto di una relazione tesa e infedele, culminata in un viaggio a Londra. Un episodio che esplora la memoria, il rimorso e la possibilità di redenzione.
📺 USS Callister: Infinity è l’episodio più lungo, sequel di USS Callister della stagione 4. Mostra l'equipaggio della USS Callister che, dopo la morte di Robert Daly, si trova a esplorare l'universo digitale di Infinity. Un'avventura che esplora le dinamiche di potere e la ricerca di libertà in un mondo virtuale. Anche questo divertente e poco altro, con un finale che è un grande maah!
Aspettiamo la prossima stagione…
🎥 Chi se lo aspettava che un film Marvel parlasse con insospettabile delicatezza di argomenti come depressione, solitudine, sensi di colpa? Thunderbolts* al cinema ora lo fa e, finalmente, la Marvel torna a fare un bel film. Intendiamoci, è sempre il solito film Marvel, un fumettone pieno di azione, battute, esplosioni, città che esplodono, ma sottotesto c’è altro, e mi è piaciuto molto. Ve ne parlo qui. Se gli ultimi film (tipo Brave New World) vi hanno fatto schifo, questo Thunderbolts* potrebbe farvi tornare a credere.
Preferito Cinema Show: “Due” e “Moscerine Film Festival”
L’ultima puntata di Preferito Cinema Show l’abbiamo dedicata allo sguardo dei bambini. Abbiamo parlato di Due, un toccante corto diretto da Lisa Riccardi, ispirato al best seller Gemelle di Orecchio Acerbo, con protagonista Margot Sikabonyi, prodotto da Tadan Produzioni.
Spazio poi al Moscerine Film Festival - MFF, l'unico festival di cinema dedicato interamente agli under 12, che si terrà a Roma dal 5 all'11 maggio 2025.
Qua sotto potete recuperare la puntata 👇
Se invece volete ascoltare il podcast su Spotify - solo talk senza musica - vi basta cliccare sull’immagine.

🎙️Nella prossima puntata continueremo a parlare di cortometraggi: sentiremo telefonicamente il regista Michele Pastrello che ha da poco rilasciato in VOD il suo ultimo lavoro, 1485KHz (Se otto ore), che è insieme una ghost story, un thriller sociale e una metafora politica. Cliccate qui per saperne di più e vedere il trailer.
Ospite nei nostri studi il regista Francesco Leonardi che ci presenterà Carneviva, una storia dura di violenza e abusi.
Appuntamento martedì 6 maggio, ore 16, sempre e solo su Radio Kaos Italy.
📚Un consiglio di lettura. Tre motivi per leggere:
Non è la solita autobiografia da celebrity
McConaughey non racconta solo la sua carriera, ma condivide diari, pensieri, errori e svolte di vita con uno stile libero, disordinato, ma sorprendentemente profondo. La sua vita e, soprattutto, il suo pensiero e la sua filosofia di vita, in tutta la sua eccentricità texana.
È un manuale esistenziale camuffato da memoir
Sotto le storie di Hollywood, del successo e degli imprevisti c’è un messaggio chiaro: imparare a riconoscere i “greenlights”, quei segnali che ci indicano quando è il momento di lasciarsi andare, di cambiare strada, di dire sì.
È un libro che fa ridere, riflettere e (letteralmente) rallentare.Perché a volte serve ascoltare chi ha vissuto mille vite… e ci ha capito qualcosa
McConaughey è stato sex symbol, attore dimenticato, icona rinata, padre, filosofo da pick-up truck. Leggere le sue parole è come chiacchierare con un vecchio amico fuori dagli schemi che ti guarda negli occhi e ti dice: “It’s not about winning, it’s about catching greenlights.”
⚒️Tool, link utili, plug in, produttività, svago…
🔍 Sapete quante volte mi capita ascoltare frasi del tipo, “Questa AI non funziona, ho provato a chiedergli una cosa e mi ha risposto a cavolo”. A queste persone non viene mai in mente che il problema non sono le AI, ma il modo in cui pongono le domande. Oggi scrivere bene un prompt per un'AI è un’abilità fondamentale. Ma attenzione: più sei vago, più l’AI lo sarà con te. Ecco una tecnica in semplici step per ottenere sempre il massimo.
1. Sii specifico
Evita domande generiche tipo “dimmi qualcosa su…”
✅ Meglio: “Scrivimi un paragrafo di 100 parole in stile noir anni ’40 su un detective che sospetta di essere un chatbot.”
2. Dai un contesto
L’AI non legge nel pensiero. Dille per chi e per cosa stai scrivendo.
✅ “Sto creando un post Instagram ironico per una libreria indipendente. Voglio un tono divertente ma informativo.”
3. Definisci il formato
Vuoi una lista? Una caption? Un copione da 15 secondi? Dillo.
✅ “Riassumimi questo articolo in 3 punti, ognuno con emoji e hashtag, per un carosello LinkedIn.”
4. Usa esempi
Mostra il risultato che ti piace. Le AI imparano velocemente dai modelli.
✅ “Scrivilo nello stile di questa frase: ‘La nostalgia è un filtro vintage sulla noia di oggi.’”
5. Testa e affina
Un buon prompt è come un abito su misura. Spesso serve una seconda prova.
✅ Chiedi varianti: “Fammi una versione più provocatoria. Ora una più poetica.”
📌 Formula magica finale:
[Tipo di contenuto] + [Tone of voice] + [Contesto] + [Target] + [Formato desiderato]